Onorevoli Colleghi! - Il decreto legislativo n. 504 del 1992 ha riordinato la finanza degli enti territoriali e ha, tra l'altro, istituito l'imposta comunale sugli immobili, conosciuta come ICI; il gettito dell'ICI è andato a costituire il pilastro della finanza dei comuni e per molti comuni essa è addirittura la voce fondamentale tra le entrate. Nel 1992 non si ritenne di esentare le case adibite ad abitazione principale da tale imposta, mentre sono esentati i musei e i luoghi di culto, così la casa d'abitazione di tantissimi cittadini si è trovata a diventare oggetto d'imposta alla pari di terreni agricoli, uffici e negozi. Tale scelta è diventata in pochi anni oggetto di pesanti critiche e non solo parte di chi sostiene che «la casa è un diritto»; la scelta di gravare la casa adibita ad abitazione principale con un'imposta ha creato delle situazioni di disuguaglianza e di ingiustizia. La legge prevede la possibilità di istituire delle esenzioni per i redditi più bassi che comunque non possono evitare l'esistenza di una «trappola del benessere», per cui i cittadini meno abbienti della classe media si trovano a pagare la tassa perché il loro reddito si pone oltre il limite dell'esenzione e al contempo la tassa aggrava il loro bilancio familiare fino a trascinarli verso la povertà, costringendoli in ultima analisi a vendere la casa in cui vivono. Questo è il caso di moltissimi pensionati che vivono dignitosamente in case ereditate da tempi più fausti: l'ICI li costringe a vendere la casa, proprio perché per la logica del legislatore il possesso della casa li inserisce tra i benestanti. Un vero esproprio fiscale. La crescita dei valori catastali, a cui non è seguito un corrispondente aumento delle pensioni, ha

 

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reso l'ICI insostenibile per molti pensionati della classe medio-bassa di reddito.
      Ugualmente la logica della «tassa sulla casa perché se hai casa sei ricco» ha reso l'ereditare un immobile una vera maledizione per i ceti medi: ricevere dai genitori la casa in eredità, magari nelle grandi città e per metrature che un tempo erano normali e adesso sono considerate di lusso, mette l'erede nella necessità di vendere l'immobile anche se avrebbe desiderato viverci.
      Ultimo dei paradossi dell'ICI che si ritiene doveroso mettere in evidenza è che gli immobili di grande metratura e alto valore abitati dalle classi più abbienti non risultano di proprietà di chi ci vive e sono invece in mano a società, l'ICI è pagata attraverso queste società, che detraggono l'imposta dai redditi abbattendo l'imponibile di altre tasse. Alla fine, come accade solitamente in un sistema economico ad alta tassazione, sono i cespiti più alti quelli che legalmente, senza frodare le tasse, riescono a sfuggire in qualche modo al fisco.
      La casa adibita ad abitazione principale non dà reddito, è un investimento durevole in sicurezza; poiché la tassazione di un bene lo disincentiva - e questo è inevitabile -, la minore sicurezza alloggiativa degli italiani è un effetto anche dell'ICI sulla prima casa e da varie parti politiche si è proposto di correggere le storture della scelta del 1992.
      La presente proposta di legge mira ad abolire l'ICI sulle abitazioni principali poiché si ritiene sostanzialmente sbagliato tassare tali abitazioni.
      I comuni, come detto, si appoggiano pesantemente sull'ICI per i loro bilanci, la parte dell'ICI proveniente dalla prima casa ammonta a circa il 23 per cento dei 10 miliardi e mezzo di euro che provengono nel complesso ogni anno dall'imposta creata dal decreto legislativo n. 504 del 1992, ed è necessario proporre una forma compensativa per il mancato introito; almeno come sostituto iniziale, prevediamo una compensazione con una compartecipazione dei comuni al gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).
      All'articolo 1 si esenta l'abitazione principale del proprietario dall'ICI, mentre all'articolo 2 si istituisce una compartecipazione dei comuni in una misura del 3 per cento dell'IRPEF simile alla compartecipazione già prevista dalla legge n. 388 del 2000 (articolo 67, comma 3). I valori della compartecipazione non compensano interamente i valori dell'imposta cessante, e quindi non solo lo Stato, ma parzialmente anche i comuni saranno costretti a dei risparmi, all'incirca nella proporzione di 4 a 1.
      Sappiamo già che questo abbattimento di rendita dall'ICI provocherà le lamentele di chi quei soldi li spende, lo stesso siamo fermamente convinti che la casa di proprietà sia un bene necessario, che non deve essere tassato e che spendere i soldi tolti ai cittadini proprietari della loro casa sia immorale e politicamente miope nell'ottica del bene comune.
 

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